Massimo Zamboni, Emilia parabolica

Emilia geometrica di dipendenze, interrelazioni, personaggi corrosi, corrotti, calamite di calamità, eroi tragici dell’inutile. Acqua ovunque, sete di coscienza. Acqua invisibile – un ribollire di brodo primordiale? – acque che si rompono senza nascita. Desiderio di essere inondati. Purificazione come risultato di un’autoinquisizione: l’autodafè volontario.
Poi, una torre per trasfigurare l’orizzonte del pensare; il mare che annoda la memoria con la storia, quella torre che confonde l’ancestrale con il vissuto.
Una parabola sussurrata, assurda, ritmo del singhiozzare. Fatti, movimenti, giornali e lo specchio del diario che sostiene il tentativo estremo di risalita.
Il vertice ovvero l’assoluto di cartapesta è situato nel luogo irraggiungibile – l’utopia della memoria – l’anello dell’ineluttabile.
È la parabola dell’esaltazione addormentata, del simmetrico allontanarsi, della viscida constatazione della propria incapacità. Zamboni autore e attore, distaccato e palpitante, si lascia andare in questo lungo assolo che penetra la carne, cerca connessioni, assonanze, accompagnato solo dall’ineffabile consapevolezza del senno del prima.


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