
John
Cheever
La morte di Justina
Traduzione di Leonardo G. Luccone
Così come pubblicato su
la Repubblica del 6 agosto 2006
[…]
Sabato il dottore mi ha detto di smettere di fumare e di bere e io l’ho
fatto. Non mi metterò a parlare dei classici sintomi dell’astinenza,
ma vorrei sottolineare che la sera, mentre dalla finestra osservavo il
tramonto pieno di luce e l’avanzare dell’oscurità,
anche grazie all’assenza di quei modesti stimolanti, avvertivo la
forza dei ricordi primordiali in cui il manifestarsi della notte con le
sue stelle e la luna era apocalittico. Ripensai immediatamente alle ormai
dimenticate tombe dei miei tre fratelli sul fianco della montagna e al
fatto che la morte è una solitudine molto più crudele di
qualsiasi altra solitudine che ci può capitare in vita. L’anima,
di questo mi sono convinto, non lascia il corpo, ma indugia con esso seguendo
tutte le degradanti fasi della decomposizione e dell’indifferenza,
al caldo, al freddo, nelle lunghe notti invernali quando nessuno va a
portare una corona o una pianta e nessuno dice una preghiera. A questa
spiacevole premonizione seguì l’ansia. Stavamo andando a
cena fuori e ho cominciato a pensare che la caldaia sarebbe esplosa durante
la nostra assenza bruciando la casa, che la cuoca si sarebbe ubriacata
e avrebbe attaccato mia figlia o mia moglie con il coltello da scalco
e che io sarei morto in un incidente sulla superstrada lasciando i nostri
figli orfani e confusi, senza aspettative per il futuro se non la tristezza.
Mi sentivo come se mi stessero calando con delle funi nell’atmosfera
della mia infanzia. Dissi a mia moglie, mentre attraversava il soggiorno,
che avevo smesso di fumare e di bere. Non sembrava che le importasse granché.
E allora chi mi avrebbe ricompensato per le mie privazioni? A chi poteva
importare che avevo un sapore amaro in bocca e la sensazione che mi si
stesse staccando la testa dalle spalle? Avevo l’impressione che
gli uomini si fossero premiati l’un l’altro con medaglie,
statue e coppe per molto meno e che l’astinenza fosse davvero un
problema sociale. Quando mi astengo dal peccato è più spesso
per la paura dello scandalo che per una convinta decisione di migliorare
la purezza del mio cuore, ma in quel momento si trattava di scelta personale
di astinenza senza l’imposizione temporale della società.
E nemmeno la morte è una minaccia come lo scandalo. Quando giunse
l’ora di uscire ero così stordito che chiesi a mia moglie
di guidare. Domenica fumai di nascosto sette sigarette in posti diversi
e bevvi due martini nel guardaroba al piano di sotto. Lunedì a
colazione il muffin mi fissava dal piatto, intendo dire che “ho
visto” un volto sulla superficie scabra e tostata. L’attimo
del riconoscimento è stato fugace ma profondo e mi sono chiesto
chi potesse essere. Un amico, una zia, un marinaio, un maestro di sci,
un barista, un capotreno? Il sorriso si dissolse nel muffin ma per un
secondo fu lì di fronte ai miei occhi – l’essenza di
una persona, di una vita, energia pura di cortesia e biasimo – e
sono convinto che il muffin avesse dentro di sé uno spirito. Come
vi rendete conto, ero nervoso.
Lunedì Justina, l’anziana cugina di mia moglie, venne a trovarla.
Justina era una persona piuttosto arzilla anche se doveva essere sulla
soglia degli ottant’anni. Martedì mia moglie organizzò
un pranzo in suo onore. L’ultimo ospite se ne andò alle tre
e qualche minuto più tardi la cugina Justina, che sedeva sul divano
del salotto con un bicchiere di buon brandy in mano, esalò l’ultimo
respiro. Mia moglie mi chiamò in ufficio e io le dissi che sarei
arrivato subito, e proprio mentre sistemavo le cose sulla scrivania si
presentò MacPherson, il mio capo.
“Puoi dedicarmi un minuto?”, mi chiese. “Ti stavo dando
la caccia, t’ho cercato ovunque. Pierce è dovuto uscire prima
e voglio che sia tu a scrivere l’ultima pubblicità dell’Elixircol.”
“Non posso Mac”, gli dissi. “Mi ha appena chiamato mia
moglie. Sua cugina Justina è morta.”
“Devi scrivere quella pubblicità”, disse. Il suo sorriso
era satanico: “Pierce è dovuto uscire prima perché
la nonna è caduta da una scala”.
Ora, a me non piacciono i racconti sulla vita in ufficio e ritengo che
se si decide di scrivere roba di narrativa si dovrebbe parlare di montagne
da scalare, di mari in tempesta, ma sarò proprio io, per un momento,
a non osservare il mio precetto con MacPherson, considerando pure l’aggravio
del suo rifiuto di rispettare e onorare la morte della cara vecchia Justina.
MacPherson era fatto così e quello fu un buon esempio di come mi
trattava. Quanto a MacPherson, posso dire che è un uomo alto, di
un’eleganza impeccabile, sulla sessantina, cambia la camicia tre
volte al giorno, flirta con la segretaria ogni pomeriggio tra le due e
le due e mezzo e fa sembrare igienica ed elegante l’abitudine di
masticare senza sosta la gomma. […] In quel momento MacPherson si
rifiutava di rispettare o addirittura di riconoscere la solenne evidenza
della morte nella mia famiglia e se non mi fossi ribellato sarebbe stato
come se io stesso avessi ignorato cosa fosse successo.
La pubblicità che voleva che scrivessi era per un tonico denominato
Elixircol e doveva essere recitata in televisione da un’attrice
né giovane né bella ma che dava l’idea d’essere
una ragazza facile; in ogni caso era l’amante di uno zio dello sponsor. Ti stai facendo vecchio? Scrissi. Ti stai disamorando della
tua immagine allo specchio? Appena svegliato, il tuo volto sembra raggrinzito
e segnato dagli eccessi dell’alcol e del sesso e il resto del tuo
corpo un ammasso rosa-grigiastro ricoperto di chiazze di peluria? Passeggiando
nel bosco, in autunno, senti che si è creata un’impercettibile
distanza tra te e l’odore di legna bruciata? Hai cominciato a scrivere
il tuo necrologio? Hai spesso il fiato corto? Porti la panciera? Il tuo
olfatto perde colpi, il tuo interesse per il giardinaggio sta scemando,
hai sempre più paura delle altitudini, i tuoi istinti sessuali
sono famelici e intensi come sempre ma tua moglie ti guarda sempre più
come un estraneo dalle guance incavate che è entrato in camera
da letto per sbaglio? Se tutte o solo alcune di queste domande hanno risposta
affermativa allora hai bisogno di Elixircol, il vero elisir della giovinezza.
La versione piccola ed economica (flacone in primo piano) costa settantacinque
dollari e il flacone gigante formato familiare ne costa duecentocinquanta.
Un bel po’ di soldi, Dio solo lo sa, ma sono tempi in cui l’inflazione
è alle stelle, e poi chi può dare un prezzo alla giovinezza?
Se i soldi non li hai, fatteli prestare dallo strozzino del quartiere
o rapina la banca locale. La quotazione è tre a uno: con una pistola
ad acqua da dieci centesimi e un pezzo di carta puoi farti sganciare diecimila
bigliettoni da un impiegato che se la fa sotto. Può riuscirci chiunque
(si alza la musica poi sfuma). Lo mandai a MacPherson tramite Ralphie,
il fattorino, e tornai a casa con il treno delle 16,16 attraversando un
panorama di assoluta desolazione.
[…]
A Proxmire Manor fui l’unico passeggero che scese dall’imprevedibile,
serpeggiante e inutile treno locale che trascinava i fari malconci nella
luce del crepuscolo come un usciere o un guardiano zoppo che fa il giro
di ronda. Andai davanti alla stazione per aspettare mia moglie e godere
del piacevole senso di crisi di chi è in viaggio. Sopra di me,
sulla collina, si trovavano casa mia e le case dei miei amici, tutte illuminate
e odorose di fragrante legna bruciata come i templi in un boschetto sacro
dedicati alla monogamia, all’infanzia incosciente e alla felicità
domestica, ma talmente simili a un sogno che sentii con grande trasporto
la mancanza di visceralità, l’assenza di quel dinamismo intrinseco
che ritroviamo in alcuni paesaggi europei. In poche parole, ero insoddisfatto.
[…]
Le guance di mia moglie erano bagnate di lacrime quando la baciai. Era
addolorata, certo, e davvero molto triste. Era molto affezionata a Justina.
Salimmo in macchina e andammo a casa. Justina era ancora seduta sul divano.
Vorrei risparmiarvi i dettagli spiacevoli e mi limiterò a dire
che sia la bocca che gli occhi erano spalancati. Andai nel ripostiglio
per telefonare al dottor Hunter. Occupato. Mi versai un drink, il primo
da domenica, e accesi una sigaretta. Quando richiamai, il dottore mi rispose
e io gli raccontai l’accaduto. “Mi dispiace molto per quello
che è successo, Moses,” mi disse, “ma non posso venire
prima delle sei, e poi io non posso fare granché. Cose simili sono
già successe… ti dico tutto quello che so. Vedi, tu vivi
nella Zona B, due acri di lotti, nessun negozio e via dicendo. Un paio
d’anni fa uno straniero acquistò la villa del vecchio Plewett
e si venne a scoprire che aveva intenzione di trasformarla in un’agenzia
di pompe funebri. All’epoca non avevamo alcun piano di zonizzazione
che ci avrebbe protetto, così a mezzanotte il consiglio comunale
ne approvò di corsa uno, e quelli calcarono un po’ troppo
la mano. Da quel che ho capito non solo non si può più aprire
un’agenzia funebre nella Zona B, ma non ci si può nemmeno
seppellire nulla, insomma non ci si può neanche morire. È
chiaro, tutto ciò è assurdo, ma tutti facciamo degli errori,
o mi sbaglio? Ci sono due cose che puoi fare. Mi è già capitato
di avere a che fare con una situazione simile. Puoi prendere la signora,
caricarla in macchina e portarla fino a Chestnut Street, dove inizia la
Zona C. Il confine è proprio dopo il semaforo accanto alla scuola.
Quando sei arrivato in Zona C è tutto a posto, basta dichiarare
che è deceduta in auto. Questa è la prima possibilità,
ma se la trovi disgustosa puoi chiamare il sindaco e chiedere una deroga
alle norme sulla zonizzazione. Io di sicuro non posso compilare un certificato
di morte finché si trova nel tuo quartiere e di certo nessun impresario
di pompe funebri la toccherà fino a quando non avrai un certificato
di morte.
“Non riesco proprio a capire”, dissi e davvero non capivo.
Ma d’un tratto la possibilità che ci fosse un fondo di verità
in ciò che aveva appena detto mi colpì e mi travolse come
un’onda, esasperando soprattutto l’indignazione. “Non
ho davvero mai sentito tante sciocchezze in vita mia”, dissi. “Vuoi
dirmi che io non posso morire in un quartiere e che non posso innamorarmi
in un altro e mangiare…”
“Moses, stammi a sentire. Calmati. Non sto facendo altro che dirti
come stanno le cose, e poi ho molti pazienti che mi aspettano. Non ho
tempo per ascoltare le tue invettive. Se hai intenzione di spostarla,
chiamami appena l’hai portata al semaforo, altrimenti ti consiglio
di contattare il sindaco o qualcuno del consiglio comunale”, e interruppe
la conversazione. Mi sentivo offeso ma questo non cambiava il fatto che
Justina fosse ancora seduta sul divano. Mi versai un altro drink e accesi
un’altra sigaretta.
Sembrava che Justina stesse aspettando me e che si stesse trasformando
da inerte in una persona che sta per chiederti qualcosa. Provai a immaginarmi
mentre la trasportavo fuori, verso la station wagon, e siccome non riuscii
a portare a termine il compito nella mente ero sicuro che non ce l’avrei
fatta nella realtà. Decisi allora di chiamare il sindaco. Nel nostro
paese quella del sindaco è di fatto una carica onoraria e come
avrei potuto immaginare si trovava nel suo studio legale a New York e
non sarebbe tornato a casa prima delle sette. Potrei coprirla, pensai,
sarebbe una cosa decorosa da fare; salii le scale di servizio diretto
all’armadio della biancheria e presi un lenzuolo. Stava facendo
buio quando tornai nel salotto, e non era una penombra clemente. Il crepuscolo
sembrava abbattersi direttamente sulle mani di Justina e con il buio la
donna acquistò forza e imponenza. La coprii con il lenzuolo e spensi
la lampada dall’altra parte della stanza: la rettitudine del luogo
con i suoi mobili vecchi, i fiori, i dipinti e tutto il resto risultava
annichilita dalla sua statura monumentale. Un’ulteriore preoccupazione
erano i bambini, che sarebbero tornati a casa entro pochi minuti. La loro
conoscenza della morte, a eccezione dei loro sogni e del loro intuito
di cui non so nulla, è pari a zero e quella figura così
audace nel salotto li avrebbe traumatizzati. Quando li sentii percorrere
il vialetto uscii e dissi loro cosa era accaduto e li mandai nelle loro
camere. Alle sette mi recai a casa del sindaco in auto.
Non era ancora tornato ma sarebbe arrivato entro pochi minuti e mi misi
a parlare con la moglie che mi offrì da bere. Cominciai a fumare
una sigaretta dopo l’altra. Quando il sindaco arrivò andammo
in un piccolo studio o biblioteca dove si sedette dietro una scrivania
facendomi accomodare nella bassa sedia del supplicante. “Ma certo
che sono partecipe del tuo dolore, Moses,” disse, “è
davvero terribile quello che è successo, ma il problema è
che non possiamo concedere una deroga senza la maggioranza del consiglio
comunale, e tutti i membri del consiglio ora sono fuori città.
Pete è in California e Jack è a Parigi e Larry non tornerà
da Stowe prima della fine della settimana”.
Gli risposi con tono sarcastico: “Allora immagino che la cugina
Justina dovrà graziosamente decomporsi nel mio salotto finché
Jack non torna da Parigi”.
“Oh no”, disse. “Jack non tornerà da Parigi prima
di un mese, ma credo che tu possa aspettare che Larry torni da Stowe.
Allora avremo la maggioranza, naturalmente nell’ipotesi che tutti
approvino la tua richiesta”.
“Per amor di Dio”, ringhiai.
“Sì, sì,” disse, “non è semplice
ma dopo tutto devi capire che questo è il mondo in cui vivi e di
contro non possiamo vivere in funzione della zonizzazione. Guarda, se
la deroga alla zonizzazione potesse essere concessa da un solo membro
del consiglio io ti darei in questo momento il permesso per aprire un
saloon nel tuo garage, montare le luci al neon, ingaggiare un’orchestra
e cancellare all’instante la divisione in zone e tutti i valori
umani e commerciali per la cui salvaguardia abbiamo speso tante energie”.
“Ma io non voglio aprire un saloon nel mio garage”, urlai.
“Non voglio ingaggiare un’orchestra. Voglio solo seppellire
Justina.”
“Lo so, Moses, lo so”, disse. “E lo capisco. Ma il problema
è che tutto questo è accaduto nella zona sbagliata e se
faccio un’eccezione per te dovrò fare un’eccezione
per tutti gli altri e questo tipo di morbilità, quando ti scappa
di mano, può essere davvero deprimente. La gente non vuole vivere
in un quartiere dove cose del genere accadono di continuo.”
“Stammi bene a sentire,” dissi, “o mi concedi la deroga
ora o vado a casa, scavo una fossa in giardino e seppellisco Justina con
le mie mani”.
“Ma non puoi farlo, Moses. Non si può seppellire nulla nella
Zona B. Non si può seppellire neanche un gatto.”
“Ti sbagli”, dissi io. “Posso farlo e lo farò.
Non posso fare il dottore né l’impresario di pompe funebri
ma sono in grado di scavare una fossa e se non mi concedi la deroga è
quello che farò.”
“Torna qui, Moses, torna qui”, disse. “Per favore, torna
qui. Ascoltami, ti concederò la deroga se mi prometti che non lo
dirai a nessuno. Significa infrangere la legge, è un reato ma lo
farò se mi prometti che manterrai il segreto.”
Promisi di mantenere il segreto, lui mi diede i documenti e usai il suo
telefono per sistemare tutto. Justina fu portata via pochi minuti dopo
il mio arrivo a casa ma quella notte feci un sogno stranissimo. Sognai
che mi trovavo in un supermercato affollato. Doveva essere notte perché
le finestre erano scure. Il soffitto era ricoperto di luce fluorescente
– brillante, piacevole ma, considerando i nostri ricordi atavici,
rappresentava l’anello debole nella catena di luce che ci lega al
passato. Si sentiva della musica e dovevano esserci almeno un migliaio
di clienti che spingevano i carrelli tra i lunghi corridoi di viveri e
vettovaglie. Mi chiedo, c’è o no qualcosa nella postura che
assumiamo quando spingiamo un carrello che ci rende asessuati? Può
essere fatto con signorilità? Sollevo la questione perché
quella sera tutti quegli acquirenti mentre spingevano il carrello sembravano
penitenti e asessuati. C’era gente di tutte le razze, perché
questo è il mio amato paese. Italiani, finlandesi, ebrei, neri,
persone dello Shropshire, cubani, chiunque avesse seguito la voce della
libertà, ed erano tutti vestiti con quell’entusiasmo suntuario
che i caricaturisti europei immortalano con risentito disgusto. Sì,
c’erano nonne con i pantaloncini, donne col sedere grosso in pantaloni
di maglia, e gli uomini sembravano essersi vestiti frettolosamente in
un edificio in fiamme. Ma questo, ripeto, è il mio paese, e secondo
me il caricaturista che denigra l’anziana signora in pantaloncini
denigra sé stesso. Io sono un nativo e indossavo stivali in pelle
di daino, pantaloni di cotone color cachi così aderenti che si
distinguevano i miei organi sessuali e la camicia di un pigiama di rayon
acetato su cui erano stampate le immagini della Pinta, della
Niña e della Santa Maria a vele spiegate. Era
una strana scena, come è strano un sogno dove guardiamo gli oggetti
familiari sotto una luce tutt’altro che familiare, ma se guardavo
più attentamente vedevo che c’erano alcune cose fuori posto.
Non c’erano etichette. Nulla era identificato o riconoscibile. Tutti
i barattoli e le scatole erano senza scritte. I contenitori dei surgelati
erano pieni di pacchetti marrone dalle forme talmente strane che non si
capiva se si trattasse di tacchino surgelato o di un pasto pronto cinese.
Tutti gli alimenti nel reparto ortaggi e i prodotti da forno erano celati
in buste marrone, e anche i libri in vendita erano senza titolo. Anche
se nessun prodotto era riconoscibile i miei compagni di sogno –
le migliaia di compatrioti abbigliati in modo bizzarro – valutavano
attentamente i misteriosi involucri, come se la loro fosse una scelta
fondamentale. Come ogni sognatore ero onnisciente, ero con loro ma ero
distaccato e quando per un attimo entrai nella scena notai gli uomini
alle casse. Erano dei bruti. Ora, capita di vedere in mezzo alla folla
quei volti in cui è conclamata l’ostinata resistenza agli
appelli dell’amore, della ragione e della decenza, volti così
lascivi, abbrutiti e incalliti che si preferisce cambiare direzione. Uomini
del genere erano stati disposti a ridosso dell’unica via d’uscita
e quando i clienti vi si avvicinavano, i pacchetti acquistati venivano
aperti – ancora non riuscivo a vedere cosa contenessero –
ma in ogni caso l’acquirente, alla vista di ciò che aveva
comprato, mostrava tutti i sintomi del più profondo senso di colpa,
di quella forza che ci costringe a inginocchiarci. Dopo che la merce era
stata aperta fino a farli vergognare, i clienti venivano spinti, a volte
a calci, verso la porta e dietro quella porta vidi una distesa d’acqua
scura e sentii lamenti terribili e urla. A gruppi, i clienti aspettavano
alla porta di essere portati via con un mezzo di trasporto che non riuscivo
a vedere. E mentre osservavo la scena, a migliaia continuavano a spingere
i carrelli nel supermercato, facevano scelte oculate e misteriose, venivano
insultati e portati via. Che significato ha tutto questo?
* * *
Seppellimmo Justina il pomeriggio seguente, sotto la
pioggia. I morti non sono, Dio solo lo sa, una minoranza, ma a Proxmire
Manor il loro mai lodato regno si trova in una zona periferica, come una
discarica qualsiasi in cui vi vengono trasportati furtivamente alla stregua
di canaglie e furfanti e dove riposano in un’atmosfera di perfetto
oblio. La vita di Justina era stata esemplare, ma terminandola era come
se avesse disonorato tutti noi. Il prete era un nostro amico, ed era un
piacere guardarlo, ma l’impresario delle pompe funebri e i suoi
aiutanti, nascosti dietro le loro limousine, non lo erano; e non sono
proprio loro quando affermano che la morte è un bacio che sa di
violetta l’origine di molti dei nostri guai? Come può un
popolo che non ha intenzione di capire la morte sperare di capire l’amore?
e chi darà l’allarme?
Dopo la funzione tornai in ufficio. La pubblicità era sulla mia
scrivania e MacPherson ci aveva scritto sopra con una matita grassa: Molto
divertente, guastafeste buono a nulla. Riscrivila. Ero stanco ma
non pentito e non ero in grado di forzare me stesso nel conveniente atteggiamento
della persona efficiente e obbediente. Ne scrissi un’altra. Non
rischiare di perdere i tuoi cari, scrissi, per colpa dell’eccessiva
radioattività. Al ballo, non startene impalato per colpa dello
stronzio 90 che hai nelle ossa. Non cadere vittima del fallout. Quando
la puttanella sulla Trentaseiesima ti fa gli occhi dolci il tuo corpo
s’allontana in una direzione e la tua immaginazione nell’altra?
La tua mente la segue fin sopra le scale e assapora, con dettagli rivoltanti,
la sua merce mentre il tuo corpo va da Brooks Brothers o all’ufficio
cambi della Chase Manhattan Bank? Non hai fatto caso alla grandezza delle
felci, alla rigogliosità dei prati, al sapore acre dei fagiolini
e ai disegni brillanti sulle ali delle farfalle appena nate? Negli ultimi
venticinque anni non hai fatto altro che respirare rifiuti radioattivi
letali?, solo l’Elixircol può salvarti. Lo diedi a Ralphie
e aspettai una decina di minuti. Me lo riportò, ancora segni di
matita grassa. Scrivila, aveva scritto, o sarà la
tua fine. Ero molto stanco. Infilai un altro foglio nella macchina
e scrissi: Il Signore è il mio pastore, non manco di nulla;
mi sfama sui pascoli erbosi, e d’ora in poi mi condurrà verso
le acque del conforto. Il Signore ristora il mio spirito e mi guida per
il giusto cammino, per amore del suo nome. Se dovessi imbattermi nella
valle dell’ombra della morte, non temerei alcun male, perché
Tu sei con me. La tua verga e il tuo bastone mi danno sicurezza. Imbandisci
per me la tavola in presenza di coloro che non vogliono il mio bene; ungi
di olio il mio capo, il mio calice trabocca. Gentilezza e misericordia
mi accompagneranno tutti i giorni della vita e vivrò nella casa
del Signore per sempre. Lo diedi a Ralphie e tornai a casa.

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