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Vittorio Sereni



Vittorio Sereni nasce a Luino, sul Lago Maggiore, il 27 luglio del 1913. All’età di dodici anni, per esigenze lavorative del padre, si trasferisce con la famiglia a Brescia, ma i luoghi dell’infanzia saranno un primo e costante motivo ispiratore per la sua attività poetica.
A Brescia frequenta il ginnasio e il liceo, ma un nuovo trasferimento lo porterà a Milano, dove si iscrive prima alla Facoltà di Giurisprudenza e poi a quella di Lettere e Filosofia, dove si laurea nel 1936 con una tesi su Guido Gozzano. Negli anni universitari stringe legami con gli intellettuali allievi del filosofo Antonio Banfi, tra cui Antonia Pozzi, Luciano Anceschi, Remo Cantoni, Enzo Paci. In questi anni nascono amicizie con artisti e intellettuali come Carlo Bo, Leonardo Sinisgalli, Giancarlo Vigorelli e Salvatore Quasimodo. Nel 1937 due sue poesie sono pubblicate su Frontespizio: ha così inizio la sua attività di poeta, che sarà sempre affiancata dal suo “secondo mestiere” di collaboratore editoriale e poi direttore letterario.
Nel 1938 Sereni è tra i primi redattori di Vita giovanile. Periodico di letteratura-arte-politica, che poi diventerà Corrente di vita giovanile, e comincia a dedicarsi all’insegnamento nelle scuole superiori. È già in questi anni che si verificano alcune esperienze anticipatrici del suo futuro lavoro mondadoriano: la progettazione, con Arturo Tofanelli, di una casa editrice; le consulenze private e le mediazioni per le edizioni dei suoi amici Attilio Bertolucci e Antonia Pozzi; l’offerta di Alberto Mondadori, nel 1941, di un posto presso il settimanale Tempo che il servizio militare gli impedisce di accettare.
Dopo la guerra, parallelamente all’attività di insegnante, riprende le collaborazioni editoriali e giornalistiche. Nel 1952, stanco di far fronte alle necessità pratiche che lo assediano, lascia l’insegnamento per dirigere l’ufficio stampa della Pirelli, occupazione che lo terrà impegnato fino al 1958 quando, dopo una lunga e intermittente collaborazione, sarà assunto dalla Mondadori come direttore letterario.
Sereni è un direttore letterario con un ruolo particolarmente articolato e capillare. Si occupa di gran parte della produzione libraria mondadoriana, a esclusione delle edizioni per ragazzi, delle enciclopedie scientifiche e di certe collane di divulgazione. Tiene i contatti esterni per la partecipazione di Arnoldo e Alberto a conferenze e altre manifestazioni; gestisce con autori, agenti e editori le trattative per contratti, licenze temporanee, traduzioni, riproduzioni radiotelevisive o cinematografiche; svolge personalmente analisi sull’andamento del mercato librario e segnala alla casa editrice i movimenti delle case editrici concorrenti verso autori della Mondadori; dirige l’intero iter di valutazione di un testo, delegando le letture e spesso occupandosene di persona; scrive i risvolti di copertina o rivede quelli dei suoi collaboratori; partecipa alla costruzione dell’oggetto-libro intervenendo sulla traduzione, sulla prefazione, sulla scelta del titolo, sulla destinazione di collana e – forte della sua esperienza di grafico-illustratore alla Pirelli – sulla copertina.
La serietà, la scrupolosità e l’onestà professionale lo porteranno spesso a scontrarsi con i vertici aziendali. Interessante è una lettera del 14 novembre 1965 in cui Sereni si rivolge ai suoi collaboratori sostenendo l’importanza delle “letture post-contrattuali”, contestando la pratica invalsa nella casa editrice di mandare in composizione, senza prima leggere e senza che passino per la direzione letteraria, i testi di quegli autori che hanno già un vincolo contrattuale con la Mondadori.
Insieme a Niccolò Gallo, suo stretto collaboratore e direttore delle due collane di narrativa italiana (Narratori italiani e La medusa degli italiani), tenterà un’opera di svecchiamento del settore pur rimanendo nei confini della strategia editoriale mondadoriana, una strategia all’insegna della moderazione che mira sempre a tenere insieme qualità letteraria e vendibilità. Quando nel 1965 nasce la collana Oscar, Sereni seleziona i primi cento titoli insieme ad Alberto Mondadori, alternando autori noti e autori meno noti, classici e contemporanei. Nel 1969 inventa la prestigiosa collana dei “classici sempre contemporanei”, i famosi Meridiani, scegliendone anche il nome.
Ma è nelle collane sperimentali e nel settore della poesia che Sereni gode di una maggiore spazio di iniziativa. Il Tornasole, collana di narrativa e poesia diretta insieme a Gallo dal 1962 al 1968, ha l’intento di spostarsi dalla tradizione mondadoriana, percorrendo strade nuove e audaci che però non porteranno a un successo economico. Anche la Nuova collezione di letteratura, nata nel 1966, riprende gli intenti sperimentali ma tutelandosi con una tiratura limitata. Con la chiusura di questa seconda collana, anch’essa avvenuta nel 1968, finisce il periodo della sperimentazione mondadoriana: la nuova collana, Scrittori italiani e stranieri, torna a puntare su autori istituzionali e collaudati e a ridurre al massimo il margine di rischio, marciando in direzione contraria a quella auspicata da Sereni, che però continua e esercitare le sue scelte con grande scrupolosità e intelligenza. Nel 1975 Vittorio lascia la direzione letteraria per dedicarsi alla consulenza, ruolo che ricoprirà fino alla morte, avvenuta il 10 febbraio 1983.

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[…] è vero che ho cambiato mestiere. Ero troppo inquieto e angustiato da ragioni pratiche e la famosa libertà del professore di liceo era una beffa. Vivevo disperso, senza il raccoglimento che una vita modesta può a volte portare. Avevo tutto il peso e nessun vantaggio. E a scuola, col passare degli anni, nemmeno il contatto con la gioventù ha più significato: ci si chiude e isterilisce, si è, ci si sente ragazzi invecchiati e non cresciuti.
Per di più, certi amici che potevano aiutarmi a vincere l’estrema difficoltà pratica in cui mi trovavo, non hanno saputo o voluto aiutarmi dandomi quel lavoro che non sarebbe stato difficile darmi. Era naturale che presentandosi un’occasione non disonorevole io la cogliessi. Così dal settembre dell’anno scorso dirigo l’ufficio stampa della Pirelli, dove lavoro molto e dove, tutto sommato, mi trovo bene. Nel settembre di quest’anno, scaduto il periodo di prova, vedremo se la cosa sarà definitiva. Ma a scuola, rispetto alla quale sono ora in aspettativa per motivi di famiglia, è chiaro che non tornerò – se non in caso disperato. Il passaggio non è stato facile. Ma almeno le ore libere, anche se poche, sono davvero mie, non assillate dalla necessità di un guadagno supplementare.
Non si dispiaccia dunque di questo mutamento e pensi invece che questa nuova vita non incide su quel poco di buono che c’è in me.
Vittorio Sereni, lettera al padre di Antonia Pozzi, Pasqua 1953

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“Ma che male c’è se uno non scrive più? C’è qualcosa di vergognoso in questo? Di vergognoso non c’è che la vergogna di vergognarsi dello stato d’impotenza. Uno dovrebbe avere la forza di convertire in altro che nello scrivere l’energia che non sa più usare in quella direzione”. In altro, e qui bisogna ricordare con quanta dedizione professionale, anche mangiando merda, Sereni lavorò alla Pirelli, alla Mondadori, non appena per portare a casa uno stipendio ma per fare un buon lavoro, faticando per un buon decoro. Il rigore (pure nella tenerezza) della sua poesia, aveva saputo trasferirlo in ogni campo, e non fu mai soldato lavativo né docente o impiegato o dirigente inadempiente. Da buon lombardo, non lavorando per sé, almeno lavorava per gli altri […].
Giancarlo Vigorelli, a proposito dello scritto sul Silenzio creativo di Vittorio Sereni

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Ho l’impressione di scriverle quasi nascondendole a me stesso, abbozzandole appena e rimediandole, aggiustandole in questa loro condizione precaria, senza mai averle prese pienamente di petto. E questo mi pare un atteggiamento destinato ad avvicinarmi alla figura del dilettante, aggravato dalla concomitanza della dispersione e distrazione quotidiana, alienazione eccetera. Oggi più che mai occorre leggere coltivarsi pensare non stare alle impressioni, non bearsi delle sensazioni, credere all’ispirazione il meno possibile. Certo, “lavorare stanca” e lo scrivere è un mestiere come gli altri. Come si può pretendere di riuscirvi facendo, invece, un altro mestiere? Se si vuole scrivere non è lo scrivere che deve essere un di più, sono le altre cose, articoli, lavori remunerati e altro (e, tra parentesi, anche queste ti riescono meglio quando sei lanciato nello scrivere).
Vittorio Sereni a proposito di alcune sue poesie, lettera a Giancarlo Buzzi, 1957

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Non gli riusciva di prenderlo alla leggera […]. Veniva fuori allora l’uomo etico, morale, perfino ansioso di recuperare qualche sua ipotetica inadempienza. […] Come manager Sereni era portato alla scrupolosità, alla precisione ed era quasi asburgico riguardo alle forme burocratiche. Non sopportava i pressappochismi e meno ancora gli insabbiatori, così frequenti nelle grandi aziende. Non aveva gerarchie deontologiche: un piccolo problema, un piccolo autore, meritavano uguale considerazione di un grande problema o di un autore importante. Ne faceva addirittura un punto d’onore. Del resto fu proprio il suo rigore, il suo rifiuto di compromessi, oltre ovviamente alla qualità del suo lavoro, a dargli il credito che godeva nell’azienda. Perfino Arnoldo, solitamente diffidente verso i letterati mondadoriani, lo trattava con estremo rispetto e simpatia.
Alcide Paolini, a proposito dell’atteggiamento di Sereni nei confronti del lavoro

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[…] per quanto tempo ancora pubblicheremo senza battere ciglio qualunque cosa ci venga dai “santoni”?

Vittorio Sereni, a proposito della disposizione dei vertici mondadoriani di acquisire a priori gli autori di successo, lettera ai suoi collaboratori, 14 novembre 1965

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D’accordo. Eco sta diventando di moda non solo a Milano. Moda funesta, forse, ma è un autobus da non perdere, oggi, anche se “minimo”.
Vittorio Sereni, sulla proposta di pubblicare il Diario minimo, nota interna ad Alberto Mondadori, 11 luglio 1962

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Mi pare che se l’ufficio addetto appunto al collegamento per le vendite è per primo convinto che la collana ha “un interesse limitato a un determinato pubblico di lettori”, tanto vale sopprimere la collana e non parlarne più. […] Se si pensa che sia negli intenti una collezione per pochi eletti, ci si sbaglia di grosso sull’intenzione stessa. La collana ha una duplice funzione: quella di assicurare giovani autori alla Casa Editrice tenendo uno stretto collegamento proprio attraverso la collezione con le forze nuove della letteratura italiana […]; e quella di raggiungere anche un pubblico meno abbiente, che abbia tuttavia uno spiccato interesse per la produzione letteraria (questo pubblico esiste, e il fatto stesso che la stampa sia quotidiana sia periodica s’interessi vivamente di ogni nuovo libro del Tornasole prova che su questo punto non ci siamo illusi).
Ora, la lamentela costante degli autori e la nostra osservazione diretta ci dicono che il Tornasole è quasi irreperibile nelle librerie grosse e piccole, per non parlare delle cartolerie e delle stazioni. La mia sensazione è che, prima di convincere i librai, dobbiamo convincere noi stessi che la collezione non ha per niente i caratteri della raffinatezza e dell’eccentricità che ci si ostina ad attribuirle.
Vittorio Sereni, lettera a Franco Scudelotti della direzione commerciale, 24 aprile 1963

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La Manzini, che ha toccato a settantacinque anni il tetto delle 100.000 copie, era precedentemente valida oppure no? Se si va a guardare la sua situazione contabile precedente al suo ultimo libro, non mi pare che lo fosse […]. Fu un affare accaparrarsi Ungaretti? Non lo fu probabilmente nel ’42, al tempo in cui passava sotto la voce “prestigio”. Lo è certo ora se si considerano le successive edizioni del volume delle poesie nei Meridiani.
Ora, non si può presumere certo che ogni autore pubblicato sia un giorno Ungaretti, o la Manzini […]; ma è chiaro che se non si conserva nell’ambito della “fiction” il margine di cui sopra o se questo si restringerà sempre più in omaggio allo schema prestigio (superfluo) / vendite (vantaggioso nell’immediato) avremo sempre meno la possibilità di acquisire i futuri Ungaretti e le future Manzini; e in quanto al margine abbandonato, vi pascolerà sempre più largamente Rizzoli.
Vittorio Sereni, relazione del 26 ottobre 1971

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Montato opportunamente può anche essere uno dei best seller di cui andiamo in cerca. Non abbastanza fitto per dilatarlo a Omnibus, ma non mi scandalizzerei se apparisse negli Scrittori Italiani e Stranieri. Prendiamolo.
Vittorio Sereni su Guardie e ladri di Donald Westlake, nota interna 17 ottobre 1972

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Non c’è che da acquistare, tradurre e pubblicare in settembre con notevole chiasso. Ci voleva come incremento del programma.
Vittorio Sereni su Il Console onorario di Graham Greene, nota interna 9 marzo 1973

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L’invidiabile fecondità di Nabokov e l’attivismo editoriale della moglie avranno mai un limite? A parte Lolita e a parte qualche Oscar (v. statistiche [delle vendite]) la situazione non è poi così brillante. Vedi ad esempio la situazione di Fuoco pallido, che pure è un libro straordinario. Forse è venuto il momento di riservarci una facoltà di scelta.
Vittorio Sereni, nota interna 14 novembre 1974







 

 

 

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