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Jean-Michel Basquiat


Quando si muore a ventisette anni, uccisi da nient’altro che dalla propria vita, si passa automaticamente a godere della benedizione maledetta della leggenda. Così è stato per Jimi Hendrix, Jim Morrison, Janis Joplin. E, poco più oltre e poco più lontano, per Jean-Michel Basquiat. […]
Non è facile apprezzare a fondo il lavoro artistico di Basquiat, se non ce lo si trova di fronte. Perché la sua è un’arte di impatto, d’istinto, di palpiti vivi, eppure allo stesso tempo meditata e decantata da una strana saggezza ribelle, imparata sulle strade e nel mondo. Va visto, Basquiat, e nel momento in cui lo si vede sembra quasi di capire la ragione per cui è morto a soli ventisette anni, con quella sua bellezza anomala e quella sua eleganza innata: come se l’irruenza, la forza, la malattia che aveva dentro fossero troppo forti per non ucciderlo.


I suoi lavori, dal 1981 (anno in cui “SAMO is dead”, ossia in cui i suoi primi graffiti firmati con l’acronimo ormai famoso, muoiono per entrare nelle gallerie di SoHo) al 1988 (anno in cui è lo stesso Jean-Michel Basquiat a morire), mantengono come cifra caratterizzante principale uno straordinario eclettismo. Ciascuna tela è una sofferta mescolanza tra rabbia e ironia, tra linguaggio adulto e linguaggio infantile, tra passato e presente, tra riferimenti culturali diversissimi tra loro, tra realtà e fantasia, ma soprattutto tra pittura e scrittura. Basquiat sembra adorare i nomi, le parole, non nel loro significato ma semplicemente per il loro significante e per il loro impatto visivo: ciascuna tela è una composizione affollata di scritte lapidarie e apparentemente (anzi, molto spesso non è solo un’apparenza) senza senso, che si mescolano con immagini assolutamente superficiali, bidimensionali, che richiamano i soggetti più vari. Il tutto nello stile giocoso della pittura naif , e con un fortissimo impatto cromatico e figurativo.



Evidenti i richiami all’arte contemporanea: c’è Pollock, nei capricci del colore che schizza e sgocciola sulla tela con un’aggressività cromatica che vuole essere ribellione; c’è Cy Twombly, nell’idea della grafia elementare e dei frammenti verbali; ci sono – forse più nascosti – Magritte e Klee, nel riferimento talora presente in Basquiat all’onirico e al visionario; e ci sono Lichtenstein e Warhol con la pop art dei soggetti pubblicitari e popolari. Proprio con Warhol, come già accennato, il giovane artista intreccia – oltre ad un’amicizia personale – un sodalizio collaborativo in cui rientra anche Francesco Clemente […].
Sarà difficile per Basquiat superare il turbamento provocatogli dalla morte di Warhol avvenuta nel 1987, e quella morte entrerà nei suoi quadri sottoforma di scheletro stilizzato, un po’ come la vedono i bambini, ma non per questo meno difficile da accettare. […]



 

 

 

 

 

 

Tratto da “Jean-Michel Basquiat”, di Barbara Meneghel, in Mescalina

*

Basquiat viveva nel caos costante, tra il disordine dello studio, abiti eleganti macchiati di vernice (cosa che divenne il suo marchio di stile), dischi jazz, videocassette, oggetti riciclati, libri, quaderni. Una miriade di stimoli che alimentò una perfetta mescolanza di primitivismo e contemporaneità: le radici afroamericane, il flusso di frasi e parole, croci e altri simboli, facce e corpi stilizzati, maschere tribali, edifici, automobili, aerei, alberi: un serbatoio di memorie e ispirazioni istantanee, un diario giornaliero che nasceva da un dipingere espressionista e infantile, precario ma sempre in equilibrio armonico. Una miscela solitaria che richiamava la pittura infantile di Cy Twombly, la grinta di Willem de Kooning, la carica informale di Jean Dubuffet, le scritture automatiche di William S. Burroughs, il fraseggio jazz di Charlie Parker, i film militanti di Melvin Van Peebles. Basquiat fu il primo artista nero di successo nell’epoca contemporanea, tra i primi in assoluto nel mondo occidentale.

Tratto da “Basquiat contrario”, di Gianluca Marziani, in Panorama, 7 settembre 2006

*

Marc Miller: Mi sembra che la gente ti consideri un’espressionista.
Jean Michel Basquiat: Espressionista?… È una cosa di un sacco di tempo fa, no?
MM: Be’, c’è una sorta di neoespressionismo.
JMB: Ah, espressionismo… Be’, l’arte deve esprimere. Una cosa o un’altra.
MM: E così vieni visto come una qualche sorta di espressionista primitivo, cioè…
JMB: Come una scimmia?… Un primate?
MM: Be’, la tua formazione come artista è…
JMB: Oh, non ne ho.
MM: Parliamo un po’ delle immagini che dipingi. Ultimamente hai fatto questa anatra?
JMB: Sììì, sììì. Le anatre mi piacciono perché sono, sai com’è… Sono facilissime.
MM: E questa qui in effetti più che un’anatra sembra una di quelle grosse anatre-esca che usano i cacciatori.
JMB: Mi sono ispirato proprio a una di quelle. È più ispirata a un’anatra-esca che a un’anatra vera.
MM: Molte delle tue immagini tendi a ripeterle. È vero? Cioè, una volta che disegni un’immagine tu…
JMB: Tipo?
MM: Be’, tipo le ossa. Hai lavorato un sacco sulle ossa.
JMB: Quella è anatomia. Nel senso dell’anatomia.
MM: …hai solo sfogliato libri e immagini e hai trovato queste immagini di scheletri oppure…
JMB: …sono uscito di casa e ho comprato dei libri di anatomia… Penso che istintivamente farei sempre teste… e di tanto in tanto cerco di trattenermi. È per questo che per esempio mi piacciono le anatre.
[in realtà all’età di sette anni è Basquiat venne investito da un’automobile mentre giocava a pallone e venne ricoverato in ospedale. Nel corso della convalescenza, durata un mese, ricevette in regalo dalla madre il manuale di anatomia di Henry Gray. Il volume avrà un’influenza fondamentale sulla sua opera.]
MM: C’è una certa, passami il termine, rozzezza nelle tue teste… Ti piacciono così o ti piacerebbe riuscire a rifinirle in modo realistico?
JMB: …Di persone rifinite non ne ho mai conosciute. La maggior parte della gente di solito è rozza.
MM: Sì? Ed è per questo che lasci le tue immagini rozze…
JMB: Credici o meno, ma io so disegnare.

*

“Da quando avevo diciassette anni, ero certo di diventare celebre. Avevo delle idee romantiche sulla maniera di diventare celebre. Sognavo i miei eroi, Charlie Parker, Jimi Hendrix…”.

Jean-Michel Basquiat


Paola Bacchiddu, “Basquiat contrario”, Il Foglio, 25 novembre 2006






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