Oblique Studio, esempio, esempi
oblique studio, artigianato e passione





facebook   twitter   instagram  
I libri fatti da Oblique
Le collane Greenwich e Gog per Nutrimenti
I libri che Oblique ha fatto con 66thand2nd
Watt, la rivista-libro di narrazioni e illustrazioni

Oblique è per il
software libero





sitemap
 
  Obliqui egregi nella storia e nel tempo
   
 


Herbert von Karajan

Il maestro Karajan è uno che non parla tanto di sé, ed è anche molto difficile parlare di lui. Io non ci riuscirò, eppure mi sembra che sia così facile conoscerlo, che sia impossibile anzi non conoscerlo, attraverso la musica. Sembra che tutto quello che fa, che è, si esprima nella sua presenza, nella sua magia. Come si fa a non sentire che tipo è? È una delle più grandi personalità che esistano. Lo si sente, ascoltandolo, vedendolo sul podio. Si capisce che è uno che va in fondo a tutte le cose, che pretende da tutti tutto e che prende tutto sotto il suo comando, ma che poi si dà completamente. Quando incomincia a fare musica, è impossibile non provare per lui un rispetto per la grandezza e anche un senso di affetto. E fare musica con lui è un’esperienza che arricchisce, sembra che lui costruisca tutto proprio per te che stai lavorando, per farti sentire e dare quello che non hai mai dato, perché forse la musica è così ma sono pochi che lo possono capire e pochissimi che possono farlo vivere, e il Maestro ha un suo modo assoluto, che non si può confondere e non si potrà mai imitare.
Sul lavoro il Maestro è di poche parole. Fa molta soggezione. Nelle prove, è molto concentrato. Non puoi permetterti ad esempio di tirar fuori la lingua; o solo nelle giornate buone, nei momenti più adatti. Non si arrabbia, di solito. Non grida, mai. Se qualcosa non va, basta un’occhiata, è peggio di un’arrabbiatura, ti gela. Ha quegli occhi, poi, del colore giusto: grigi, fermi.
Al Maestro non piace tanto dire le cose, preferisce farle capire. Non che convinca con argomenti. Fa. Ha un fluido unico, si sa. E poi ha quel gesto… ti viene da giurare che non canterai mai con un altro direttore. Poi, naturalmente, si viene a conoscere anche qualcuno – pochissimi – che ha, in modo del tutto diverso, altre qualità. Ma il Maestro ti avvolge di musica, ti porta a scegliere cose giuste. Mentre canti e cominci a capire, ti viene voglia di studiare come un matto, per capire di più.
Al Maestro piace moltissimo capire e far capire senza spiegazioni. Naturalmente questo avviene in prova, con l’orchestra, e anche con i cantanti. Le prove di sala sono normalmente affidate ai maestri sostituti di sua fiducia, gli preme andare subito in orchestra. Anche quando prova scenicamente, come regista, preferisce avere la registrazione già effettuata e che noi cantiamo in play-back; è un po’ scomodo, o almeno è molto diverso dalle abitudini che di solito abbiamo tutti, ma il suo modo di vedere l’opera non può fare a meno dell’orchestra, e vuole che anche noi non ne facciamo a meno.
Forse, proprio per questo, adesso prima incide il disco dell’opera che rappresenterà, poi la prova in teatro. Arrivando in teatro, il Maestro non è sempre contento di quello che ha fatto in disco, perché non è che si fissi su un’idea, si muove sempre. Come regista si sa che viene discusso. Non è però un regista che non affronta i problemi, ha una concezione sua, quello che gli importa è la vita musicale sulla scena e che dentro la vita musicale ognuno senta il suo personaggio […].
Il Maestro ama molto la tradizione. Però la tradizione come la ama il Maestro non è come viene amata di solito. Lui non vuole mai che si esageri, e non vuole mai che si facciano gli effetti per fare gli effetti […]. Fuori dal lavoro… chi l’ha mai visto, fuori dal lavoro? Soltanto qualche volta noi, con cui ha lavorato di più. Vive abbastanza appartato, soltanto ultimamente cerca di più la compagnia. Altrimenti, finito lo spettacolo o le prove, sparisce subito.
[…] La sua passione per i motori è famosa… le macchine su cui corre come un matto, le cose tecniche e meccaniche in genere, lo appassionano, lo esaltano. Anche in teatro, quando dirige, nelle prove gli piace dominare tutto il macchinario; senza staccare dalla musica, senza smettere di dirigere dà ordini nel microfono. Poi gli piace fare sport. Adesso cammina con fatica, per la sua malattia, anche se ha sempre un’immagine molto forte, da vincitore; fino a poco tempo fa faceva gare di vela. Io ho però l’impressione, non vorrei dire, che sia anche timido, che nel rapporto con gli altri cerchi di nascondersi; e lo capisco: uno che è timido e si trova una così grande personalità, non è mica facile per lui.
[…] Ogni tanto mi faceva qualche confidenza: una volta mi ha confidato che per studiare un’opera ci metteva due anni e mezzo. Vuol conoscere a fondo, prima di cominciare a dare. Poi incomincia a chiedere, anzi a volere. E poi, con tutti noi, dà tutto.
Mirella Freni, tratto da Musica Viva, anno IX, n. 7-8, luglio-agosto 1985

                                                                              *

Quasi tutte le partiture sulle quali Karajan dirigeva erano mie. Ma mi venivano puntualmente restituite come se non fossero state utilizzate: nessun segno, nessuna sottolineatura, mai una piega su una qualsiasi pagina. Le partiture Karajan le studiava a letto, steso a pancia in giù, puntato sui gomiti. Oppure si metteva sul pavimento, come un gatto rilassato. Per questo non è rimasto nelle sue partiture alcun segno: egli ascoltava e assorbiva con un orecchio spirituale tutto quanto gli trasmettevano le note, imparando con grande naturalezza tutto a memoria. Da un lato, quelle che dovevano essere le indicazioni del compositore, dall’altro la migliore maniera di tradurle. Per anni Karajan diresse tutti i concerti con gli occhi chiusi, cosa che inquietava gli orchestrali, finché non si abituarono. In questo modo aveva creato un suo modo di comunicazione ideale: con gli occhi chiusi egli poteva “vedere” meglio la partitura e non vedendo l’orchestra poteva sentirla meglio, concentrandosi sugli equilibri differenti.  
Walter Legge, produttore discografico Emi
                                                                    
                                                                        *

Karajan fu esigentissimo e inflessibile nei confronti dei musicisti, delle orchestre e dei cori che diresse, ma soprattutto verso sé stesso, in un’ansia di perfezione suprema, nemica della comoda “normalità”.  
Riccardo Muti
                                       
                                                                        *

[…] La Tebaldi e del Monaco, con Karajan intorno, tenevano un comportamento esemplare, principalmente perché sapevano che non prestava la minima attenzione ai loro sbalzi d’umore. Ammiravano la sua eccezionale capacità di “seguire” la voce, una specie di flessibilità controllata che si rivelava molto più di un semplice accompagnamento; ma capivano anche che sapeva perfettamente come rendergli la vita difficile se lo voleva, sia estendendo le frasi al di là delle loro possibilità, sia dando loro, impercettibilmente, il tempo sbagliato per respirare. Come direttore operistico poteva essere sia l’alleato più comprensivo di un cantante che un invincibile nemico […].
[…] Non era facile imparare a conoscerlo, ma era molto facile rimproverargli i suoi modi apparentemente trascurati. Ciò che si doveva accettare di Karajan era la sua impazienza, e con il tempo riuscii a capirla, perfino a rispettarla. La padronanza di sé stesso, la sua abilità musicale, la sua capacità di leggere a prima vista quasi qualsiasi cosa gli capitasse davanti e azzeccarci fin dalla prima volta erano qualità straordinarie, e credo che non fossero tanto doni di natura quanto acquisizioni fatte durante anni di duro lavoro. La sua irrequietezza era affascinante. Sono sicuro che il suo crescente interesse per il filmare le interpretazioni musicali gli venne perché capì che aveva poco altro da dire, in termini musicali, sulle opere che aveva diretto fin da quando era giovane. Non voglio dire con questo che la musica gli fosse venuta a noia, o che non cambiasse le sue interpretazioni; era però consapevole che arriva un momento in cui il fatto di dover rivedere e rinnovare costantemente le proprie interpretazioni influenza l’approccio di un direttore, e quella sorta di perversione non era nella sua natura. Una prova di questo fu quando, per ragioni puramente commerciali, gli fu chiesto di affrontare qualcosa di completamente diverso. Il nostro ufficio americano voleva fargli registrare la noiosissima musica del balletto Giselle, di Adam, che tra l’altro lui non aveva neanche visto spesso. Lo spartito arrivò da Parigi, in condizioni veramente disastrose. Le pagine non erano neanche numerate e non seguivano nessun tipo di filo logico; la strumentazione era stata cambiata da chissà quante mani e le parti orchestrali non tornavano con la partitura. Ma Karajan, durante quelle sessioni, si divertì immensamente, mettendo tutto sottosopra per ottenere una versione completamente nuova di Giselle. Cominciava da quello che credeva l’inizio di qualcosa e andava avanti finché non finiva; poi saltava al primo pezzo seguente che fosse leggibile. Alla fine ci ritrovammo con una serie di pezzi registrati che mettemmo insieme, duplicandone alcuni per far suonare il tutto come una piccola ricapitolazione. Nessuno la prese sul serio; tuttavia, con mio gran divertimento, dopo poco meno di un anno un giovane critico, che doveva recensire una versione nuova, e autentica, di Giselle, rimandò i suoi lettori alla versione definitiva, anche se purtroppo incompleta, di Karajan […].
John Culshaw, Putting the record straight, Secker and Warburg, Londra, 1978
                                                             
                                                                        *

C’era un grande amore tra l’orchestra e Herbert, era la sua passione. Lui certo amava sua moglie, le sue figlie, ma per l’orchestra aveva una passione. Così appassionato, che lui sentiva quando un musicista, per esempio un oboista, non aveva abbastanza fiato per arrivare alla fine della sua frase. E allora dava un segno all’orchestra, in modo che non ci fossero vuoti. Lui è vicino fisicamente, indovina e presagisce esattamente quello che lo strumentista farà.
Irene Clouzot, moglie di Walter Legge

                                                                        *

Giuseppe Pugliese: Maestro, la sua realizzazione del Ring di Richard Wagner conclusa quest’anno con la Gotterdammerung è stata una conquista per il mondo poetico di Wagner di cui non ricordo precedenti. Chiunque domani voglia interpretare Wagner, in particolare Der Ring des Nibelungen, non potrà ignorare la sua interpretazione, soprattutto per quanto riguarda l’espressione poetica dell’universo wagneriano e lo stile del suo linguaggio, per decenni frainteso, anzi stravolto. Non so se è vero che lei stesso avrebbe detto: “Non voglio saperne di urlatori in Wagner. Voglio cantanti, artisti che cantino, che interpretino Wagner, come si fa con tutta l’altra musica”.

Herbert von Karajan: Sì, è vero. Bisogna pensare, innanzitutto, che la concezione che ho sempre avuto dell’interpretazione delle opere di Wagner è basata sull’idea, sul contenuto “mentale” dell’opera. Da questa concezione nascono tutte le necessità e le possibilità di espressione. La prima cosa da fare, quindi, è trovare degli interpreti capaci di capire l’intero problema “mentale” del personaggio, poi, trovare anche i modi di espressione adeguati. Il cantante wagneriano di un tempo urlava. E naturalmente tutta la bellezza, le sfumature, il significato delle parole di Wagner svanivano. Il testo di Wagner non può essere urlato, per la semplice ragione che quando la voce umana urla perde tutte le possibilità di espressione di cui, invece, è capace quando la parola è pronunciata bene. La lingua tedesca ha molte possibilità di dire una cosa con parole che a volte significano quasi il contrario. Tutto questo gioco di sfumature della lingua tedesca, del linguaggio di Wagner, sono la chiave per una giusta interpretazione musicale, e su questa viene sovrapposto il canto, e il canto per me è sempre stato lirico. Se non sento il cantante, se non posso capire cosa vuol dire, è inutile che ci sia. E se l’orchestra sente il cantante può accompagnarlo meglio.
 
GP: Dalle sue esecuzioni di molti anni fa e dai documenti discografici che esistono, a me pare che, allora, lei non fosse arrivato a realizzare completamente questo suo ideale interpretativo. Non pensa che, in tutti questi anni, anche dentro di lei, ci sia stata un’evoluzione?

HvK: Sì, ma bisogna considerare alcune circostanze. All’inizio della mia carriera, e poi a Berlino, c’era una cosiddetta “famiglia” di cantanti che già erano formati in senso contrario a quello da me concepito. Una volta che un cantante ha cantato così per dieci anni, non è più trasformabile. Quindi io, nelle mie prime esecuzioni wagneriane, ho dovuto…   

GP: Accettare.

HvK: Sì, più o meno. Dopo la guerra ho potuto cominciare a formare dei nuovi cantanti. Per esempio la Schwarzkopf, la Seefried, la Jurinac. Ho cominciato subito con il primo Festival. Ho trovato giovanissimi cantanti che anche dal punto di vista fisico erano il contrario di quelli che si era abituati a vedere. Perché mi sono sempre un po’ ribellato all’idea che la gente dicesse: “Ah, sì. Sono molto grasse queste donne, ma io chiudo gli occhi e non guardo”. Se il cantante non può fare una realizzazione anche fisica del personaggio che interpreta, è inutile averlo. Ricordo benissimo un episodio. Alla Scala, alla prima prova, con l’orchestra, di Le nozze di Figaro, ho detto a Minetti, il primo violino: “Abbi pazienza ancora per qualche minuto, perché i cantanti non sono arrivati”. “Va bene, aspettiamo”, ha risposto lui. Ad un tratto essi arrivano. E io dico: “Adesso possiamo iniziare”. Minetti mi chiede: “Ma dove sono i cantanti?”. “Sono questi”. “Non è vero, sono ballerini”, mi risponde. Allora ho capito che avevo ragione. E quei cantanti hanno interpretato Mozart per venticinque anni in tutto il mondo.

Giuseppe Pugliese intervista Herbert von Karajan, tratto da Herbert von Karajan. Gli anni alla Scala, di Giuseppe Pugliese, Edizioni del Teatro alla Scala, 1970

                                                                         *                                              

Durante una prova di Beethoven l’orchestra accelerava sempre allo stesso punto, tanto che alla fine volli vedere gli spartiti. L’editore aveva leggermente compresso le note. La stampa è causa di enormi differenze nella musica. Poi naturalmente c’è la lettura della musica, il trasporre in suono le note bianche e nere, una cosa che richiede un sacco di immaginazione. Perché se ti dico che c’è una montagna tu puoi immaginare la montagna. Se ti dico che la montagna è in una favola ed è fatta di vetro verde, posso associare la montagna al colore di una bottiglia. Ma qui, in uno spartito, ci sono dei dati, delle istruzioni, che danno un certo suono. Perciò si acquisisce la capacità di leggere uno spartito e di approssimarsi al suono. Esige molto tempo, questa capacità di prendere dei punti neri sulla carta bianca e trasformarli in impressioni ed emozioni nel nostro intimo. Nell’anima o nel cuore o quello che è. Poi l’orchestra li esegue ed ecco che salta fuori un suono completamente diverso.
Herbert von Karajan, tratto da L’Eclicopedia della Musica, Il Sole 24 Ore

*

Herbert von Karajan nacque a Salisburgo il 5 aprile 1908. La sua famiglia era fra le più in vista della città: il padre, Ernst von Karajan, era un medico provinciale e primario ospedaliero; la madre, Martha Cosmac, proveniva da un’ottima famiglia. Ernst von Karajan era un musicista dilettante di talento e un autentico amante della musica. I due figli, Wolfgang e Herbert, cominciarono a suonare fin dall’età di tre anni. Il talento di Herbert fu subito evidente: saliva sullo sgabello e cominciava a imitare tutto ciò che qualcuno poco prima aveva eseguito.
Nel 1917, a soli nove anni, fu ammesso al Mozarteum di Salisburgo dove Bernhard Paumgartner divenne figura di riferimento nella sua formazione e determinante nella scelta di Karajan di lasciare il pianoforte per la direzione d’orchestra.
Nel 1926 si iscrisse al corso di direzione all’Accademia di Vienna. L’apprendistato si consumò soprattutto attraverso gli ascolti all’Opera, dove dai posti in galleria, in alto, poté seguire le esecuzioni di Clemens Krauss, Feilx Weingartner, Robert Heger e, soprattutto, Wilhelm Furtwängler e Richard Strauss. «Ammiravo Strauss quando dirigeva le sue opere. Ma soprattutto Mozart: per le proporzioni dei tempi, il peso delle armonie, raggiunti sempre con gesti minimi. Krauss esercitava su noi giovani direttori un grande fascino, per la sua tecnica tutta diversa, ma anche lui con il minimo delle indicazioni, riusciva a ottenere il massimo di chiarezza e precisione dalle orchestre».
Il 17 dicembre 1928 Karajan salì per la prima volta sul podio: si esibiva l’orchestra degli studenti dell’Accademia di Vienna. Karajan dirigeva per ultimo, c’era in programma la sinfonia del Gugliemo Tell di Rossini. «Mentre dirigevo sentivo che possedevo una sensibilità per l’orchestra. Fino ad allora avevo forse diretto una quarantina di minuti, 15-20 durante i corsi in Accademia e gli altri in questo concerto. Allora mi sono detto: adesso devo fare qualcosa a Salisburgo».
Nel gennaio del 1929 Karajan era sul podio dell’orchestra del Mozarteum con la Quinta Sinfonia di Čiajkovskij, il Concerto per pianoforte K488 di Mozart e il Don Juan di Richard Strauss: con questo concerto iniziò la sua carriera. Nello stesso anno diresse Salomè nel Festspielhaus di Salisburgo.
Nel 1937 Karajan venne nominato il più giovane “Generalmusikdirektor” della Germania e fu direttore ospite a Bruxelles, Stoccolma, Amsterdame altre città. Nello stesso anno Karajan debuttò con i Berliner Philharmoniker e all’Opera di Stato di Berlino con Fidelio. Il successo maggiore, però, lo ottenne con Tristan und Isolde. Fu un trionfo: “Das Wunder Karajan”.
Il 1938 fu l’anno della sua prima registrazione in disco: l’ouverture della Die Zauberflöte, realizzata con la Staatskapelle Berlin. Dal 1940 al 1943 diresse alcuni concerti alla Scala di Milano.
Herbert von Karajan continuò a esibirsi, dirigere e incidere prolificamente fino alla morte, il 16 luglio del 1989 ad Anif, Salisburgo.

*

Discografia

Messa in Si minore
Johann Sebastian Bach
Philharmonia Orchestra
Elisabeth Schwarzkopf (cantante), Nicolai Gedda (cantante)

Sinfonia n. 2/Musica massonica/Metamorfosi
Johannes Brahms, Wolfgang Amadeus Mozart, Richard Strauss
Wiener Philharmoniker

Sinfonie n. 3, n. 1
Ludwig Van Beethoven
Berliner Philharmoniker
Deutsche Grammophon

Concerto per pianoforte n. 3, n. 5
Ludwig Van Beethoven

Concerto per pianoforte n. 4-Triplo concerto
Ludwig Van Beethoven

 

Sinfonia n. 9
Ludwig Van Beethoven

Sinfonia n. 4/ Sinfonia n. 4
Johannes Brahms, Robert Schumann
Berliner Philharmoniker, Philharmonia Orchestra

Un Requiem tedesco (Ein Deutschen Requiem)
Johannes Brahms, Robert Schumann
Berliner Philharmoniker, Philharmonia Orchestra

Variazioni su un tema di Frank Bridge/Fantasia su un tema di Thomas Tallis/Musica sull’acqua (Water Music)
Johannes Brahms, Wolfgang Amadeus Mozart, Richard Strauss
Wiener Philharmonike

Un Requiem tedesco (Ein Deutsches Requiem)
Johannes Brahms
Berliner Philharmoniker, 
Anna Tomowa-Sintow (cantante), José Van Dam (cantante)

Variazioni su un tema di Frank Bridge/Fantasia su un tema di Thomas Tallis/Musica sull’acqua (Water Music)
Benjamin Britten, Ralph Vaughan Williams, Georg Friedrich Händel

Sinfonia n. 4
Anton Bruckner
Berliner Philharmoniker
Deutsche Grammophon

Sinfonia n. 7
Anton Bruckner

Sinfonie n. 8, n. 9
Antonin Dvorak

 

Messa dell’Incoronazione (Giovanni Paolo II celebra la messa)
Giovanni Paolo II
Wolfgang Amadeus Mozart
Wiener Philharmoniker,
Kathleen Battle (cantante), Ferruccio Furlanetto (cantante), Trudeliese Schmidt (cantante), Gösta Winbergh (cantante)
Deutsche Grammophon

Sinfonie n. 83, n. 101, n. 104
Franz Joseph Haydn
Berliner Philharmoniker
Deutsche Grammophon

I pagliacci
Ruggiero Leoncavallo
Deutsche Grammophon

Sinfonia n. 9
Gustav Mahler
Deutsche Grammophon

Eine Oleine Nachtmusik-Divertimenti K 136, K 138, K 247, K 251, K 287Adagio e fuga
Wolfgang Amadeus Mozart
Berliner Philharmoniker
Deutsche Grammophon

Sinfonie n. 40, n. 41-Concerto per oboe

Wolfgang Amadeus Mozart
Berliner Philharmonike







chiudi