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Gerberto d’Aurillac (Silvestro II)

Gerberto d’Aurillac (ca 950-12 maggio 1003) fu monaco di San Geraldo d’Aurillac, tutore del futuro imperatore Ottone III, insegnante presso l’arcivescovado di Reims, abate del Monastero di Bobbio, Arcivescovo di Ravenna, salito al trono pontificio nel 999 con il nome Silvestro II, all’alba dell’anno Mille.

Gerberto d’Aurillac fu definito il “papa mago” e fu a più riprese accusato di esoterismo e di aver intrattenuto addirittura rapporti col diavolo, artefice della sua ascesa al soglio pontificio. Straordinario studioso, divulgatore delle arti del Trivio (grammatica, retorica, dialettica) e del Quadrivio (aritmetica, geometria, astronomia e musica), conoscitore dei numeri arabi, grande appassionato di aritmetica (fu grazie a lui che l’abaco venne reintrodotto in Europa) e di astronomia (sempre a lui pare si debba una minuziosa descrizione dell’astrolabio, ancora unica nel suo genere).

Gerberto, perciò, come scienziato, ha posto le basi per la nascita della scienza moderna. Per lui, come per i suoi successori, fede e ragione, scienza e religione sono due forme di sapere tra le quali non può esistere alcun conflitto. Sono «le due ali con le quali lo spirito umano si innalza verso la contemplazione della verità» (Fides et Ratio, n. 1). Non solo, ma si può dire che la scienza moderna, ossia la comprensione quantitativa del mondo materiale espressa in formule matematiche, deve molto alla visione cristiana del mondo.

Fu lui a ufficiare la messa dell’anno mille, l’ultima messa della storia del mondo, essendo opinione diffusa che quel 31 dicembre dell’anno 999 il mondo dovesse davvero finire. Ma così non fu. Finì invece, di lì a poco, la vita di questo uomo di sapere, mistico e cristiano, apostata e papa, a cui la Fata Meridiana profetizzò la morte nell’istante in cui avesse celebrato messa in Gerusalemme. E lui, uomo accorto, a Gerusalemme non ci mise mai piede, ma a nulla servì.

Morte lo colse non in Palestina, ma a Santa Croce in Gerusalemme, chiesa di Roma.
Quel giorno, durante l’officio, Silvestro accusò un malore e, sentendosi morire, radunò intorno a sé il clero, disponendo che il suo cadavere fosse posto su un carro trainato da buoi e di essere sepolto lì dove gli animali liberamente l’avessero portato.
I buoi si fermarono nell’atrio della chiesa del Laterano e lì fu sepolto.

La tradizione dice che dalla sua tomba nell’imminenza della morte di un papa, fuoriuscisse una certa quantità di acqua, questo fino al 1864, quando il sarcofago venne aperto e il papa comparve intatto e vestito dei paramenti pontificali.
Ma fu solo un attimo, al contatto con l’aria tutto si ridusse in cenere e tutt’intorno si sparsero i profumi dell’imbalsamazione.

*


A questa fede noi annodiamo la scienza, poiché non hanno fede gli stolti…






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